Venosa, Città di Orazio, scrigno di tesori ricorda gli intramontabili capolavori del grande poeta italiano

È senza dubbio il lucano più famoso di tutti i tempi.

Il poeta venosino Quinto Orazio Flacco è conosciuto nel mondo per il suo “Carpe Diem”: il verso che ha reso l’undicesimo componimento del primo libro delle Odi uno dei più celebri di tutta la letteratura latina.

Tra le antiche vie di Venosa risuona ancora: “Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero”, “Mentre si parla il tempo è già in fuga, come se ci odiasse: cogli la giornata, confidando il meno possibile nel domani”.

Un invito a vivere appieno il presente, ad apprezzare ciò che la vita offre ogni giorno perché il futuro è imprevedibile e incerto.

Ma Leuconoe, fanciulla “dalla mente candida”, non può capirne il senso, proiettata com’è verso un domani pieno di amore e di soddisfazioni.

Una filosofia di vita che torna in auge in tempi di Covid-19.

La pandemia e il lockdown impongono di stringerci attorno agli insegnamenti dei più grandi.

Nella certezza che lasciarsi cullare dalla bellezza e dal potere terapeutico del verso sia evidentemente la migliore soluzione per affrontare questo inedito momento storico.

“Panorama”, ad esempio, ha proposto approfondimenti on line legati agli autori più significativi del nostro patrimonio letterario, tra cui non poteva mancare Orazio: il poeta del “Cogli l’attimo” o più letteralmente del “Cogli il giorno” ci ricorda di non sprecare (nemmeno) questo difficile presente, fatto di restrizioni e grandi timori, ma di viverlo come possibile opportunità di cambiamento.

Consiglio utile per giovani e adulti di oggi, fino a ieri proiettati verso un futuro luminoso, all’improvviso schiacciati dalla minaccia di un virus e di un presente diventato durissimo, aspettano solo che, di tutto questo, resti solo un brutto ricordo.

“La pandemia dei nostri giorni, come ogni contagio pestilenziale, è certamente rapportabile a ciò che nell’antica cultura greca e romana – spiega Antonio Vaccaro, editore di Osanna Edizioni, la casa editrice da lui fondata nel 1982 con la moglie Rosetta Maglione, e autore di diversi volumi – era quel male misterioso, ignoto, incomprensibile, inflitto agli uomini dagli dèi come “parte” – mòira, avrebbero detto i Greci – di quel che ai mortali spetta, proprio perché tali, cui non possono sottrarsi.

“Passerà” è stato il motto della prima ora del contagio.

Passerà: in questo beneaugurante futuro traducevamo inconsapevolmente una delle massime che il popolo pensante per eccellenza, i Greci, ci hanno affidato.

Passerà, si sbandierava da tricolorati balconi, perché niente c’è per gli uomini che duri, il male come il bene.

Passerà, perché tutto passa: pánta rheî, il “tutto scorre” degli antichi Greci, detto nella più bella lingua che esseri umani abbiano parlato.

Ma intanto, come insegna proprio Orazio, il presente è da cogliere comunque, in ogni caso, ponendoci alla giusta e saggia distanza che è saggio porre tra noi e le cose.

Vivendo nel prosieguo inevitabile della vita che non è dato sapere quanto durerà”.

Un invito che ha travalicato i secoli, forse svilito rispetto al concetto originario che attinge alla visione epicurea secondo cui per essere felici bisogna accontentarsi di quello che si ha, limitando desideri e aspettative senza preoccuparsi del futuro perché nessuno, in fondo, sa cosa riserva il destino.

Anche Lorenzo de’ Medici ne trasse ispirazione: “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia, di doman non c’è certezza”.

Anche la Settima Arte vi ha posto il suo sigillo: nel film di Peter Weir “L’attimo fuggente” il professor Keating (interpretato da Robin Williams) lo interpreta e traduce per i suoi allievi come sprone a “succhiare il midollo della vita”.

Vissuto al tempo di Augusto, amico di Virgilio che lo presentò a Mecenate, al cui fianco volle riposare sull’Esquilino, Orazio è tra i 300 personaggi illustri del Bel Paese ricordati con un busto al Pincio.

Ne conosciamo il volto dal dipinto di Giacomo De Chirico, con in testa la corona di alloro, nell’atto di scrivere chino su di un tavolo ornato da motivi classici, avvolto da un mantello rosso fermato da un’armilla sulla spalla. Opera esposta alla Pinacoteca provinciale di Potenza.

Venosa, sua città natale, è tra i “Borghi più belli d’Italia”. Nel cuore del Vulture, terra d’Aglianico, nella parte settentrionale della Basilicata a pochi chilometri dal confine con la Puglia.

Sulle sue origini e sulle ragioni di un toponimo innegabilmente suggestivo, sentiamo ancora l’editore Vaccaro:

“Fu fondata come colonia dai Romani nell’anno 291 a.C. con nome latino di Venusia, coniato in onore di quella dea Venere dalla quale attraverso Enea (l’eroe troiano, figlio della dea della bellezza e di Anchise) pretendevano discendere le più illustri famiglie di Roma, le cosiddette “famiglie troiane”; tra queste, i Fabii, che proprio nella nuova colonia vollero imporre il loro controllo politico mediante l’invio di una folta schiera di fidati clientes e suggellare così la propria supremazia ideologica anche nella scelta del nome, con un forte inequivocabile richiamo alla propria progenitrice”.

Un giro turistico non può che partire da due piccoli ambienti situati nel centro storico che una tradizione del tardo secolo XV indica come la casa di Orazio, momento imperdibile per ogni visitatore.

Ma a Venosa c’è anche tanto altro da vedere.

Il Castello Aragonese del 1470 realizzato su resti di antiche cisterne romane, per ordine del duca Pirro del Balzo, autentico tesoro artistico–architettonico.

Nel tardo ’500 e nel primo decennio del ’600 dimora occasionale del principe Carlo Gesualdo (che a Venosa era nato l’8 marzo del 1566) e stabile poi del figlio Emanuele che nel feudo avito morì il 20 agosto 1613 per una caduta da cavallo: pochi giorni dopo, l’8 settembre, sarebbe morto il “Principe dei musici”, ma nel primo feudo della nobile casata, Gesualdo, oggi in provincia di Avellino.

Cos’altro Venosa può offrire al visitatore? Lo chiediamo ancora una volta al nostro interlocutore. E la sua risposta non ci sorprende, reduci come siamo da un ennesimo tour nella “città di cui è bello parlare come ascoltare” suggerisce l’editore.

“Un patrimonio di bellezze monumentali e paesaggistiche unico in Basilicata, una pluralità di testimonianze che parlano dal passato e impegnano noi eredi alla responsabilità, ovvero – se non si vuole tradire l’etimologia di questo termine – a “rispondere” con le nostre azioni a quanti ci hanno preceduto e a quelli che ci seguiranno.

E vorremmo tornare al concetto di pluralità, ovvero la varietà e la ricchezza che questa città dischiude al visitatore. Non conosce, questa città, il turismo a senso unico, il percorso obbligato verso cui il visitatore viene indirizzato.

Il viaggiare in questo luogo, a piedi come nel passato gli innumerevoli viaggiatori italiani e stranieri, è un continuo rincorrere luoghi e tempi di una storia che – conclude Antonio Vaccaro – qui sembra non aver fine”.

Le catacombe ebraiche sulla collina della Maddalena risalenti al III e VII secolo d.C.

Il sito preistorico di Notarchirico, uno dei più antichi d’Europa, con tracce di esseri viventi di circa 600 mila anni fa, dell’Homo Erectus e di animali di grossa taglia come elefanti, bisonti, rinoceronti.

I resti monumentali, dal periodo repubblicano all’età medievale, domus private con mosaici, un complesso termale con frigidarium e calidarium, l’anfiteatro romano di forma ellittica, eretto tra il I e II secolo d.C.: si possono ammirare nel Parco Archeologico vicino al complesso della Santissima Trinità, monumento nazionale dal 1897, costituito dalla chiesa “antica”, di epoca paleocristiana (con la tomba degli Altavilla e della moglie ripudiata di Roberto il Guiscardo, Aberada) e l’abbazia “nuova”, detta “Incompiuta”, edificata tra l’XI e il XII secolo per ampliare la precedente, ma mai terminata, di un fascino a dir poco straordinario.

E se solo volessimo accennare al piacere dello stare a tavola, qui, nella terra d’Orazio, di questo e di altrettanto spazio avremmo bisogno.

Cristiana Lopomo

Di seguito alcune foto del Castello di Venosa, della casa di Orazio ed altri tesori.