Dalle Dolomiti Lucane a Matera: la filosofia di Antonietta, la chef che porta in tavola l’anima dei suoi piatti

“Un bravo chef non deve solo saper realizzare piatti eccellenti ma deve saperli raccontare”, inizia così la lunga chiacchierata fatta con la chef lucana Maria Antonietta Santoro che ha fatto del suo mestiere una vera e propria filosofia di vita.

Maria Antonietta inizia a muovere i primi passi nel mondo della ristorazione nei primissimi anni ’90 aprendo una birreria a Castelmezzano (PZ) divenuta oggi un ristorante pluripremiato.

Dopo trent’anni di sacrifici e successi, la chef di Castelmezzano, che intanto ha aperto anche un’osteria nella splendida location dei Sassi di Matera, ha fatto tesoro di tutte le esperienze professionali maturate nel corso degli anni arrivando a celebrare le sue creazioni culinarie come veri trofei partoriti da Madre Natura.

Per capire la filosofia di vita adottata dalla chef delle Dolomiti Lucane bisogna partire dalle origini, lei stessa spiega:

“Stiamo vivendo un periodo di cambiamento epocale che ha fatto della cultura green il suo caposaldo.

A mio avviso si tratta di un’evoluzione culturale sostenibile e atavica.

Già tra i nostri nonni era diffusa la cultura vegana e vegetariana, loro mangiavano carne solo nei giorni di festa e ciò ha fatto di loro una generazione longeva. Siamo stati precursori di un cambiamento.

Il mio concetto, la mia evoluzione da chef è celebrare la bellezza perché ‘La bellezza salverà il mondo ’.

Nei miei piatti la bellezza la si trova nelle piccole cose come ad esempio in un pomodoro o nel grano coltivato in loco”.

Maria Antonietta ha sposato, sia nel lavoro che nella vita, la cultura green, considera questo momento il periodo dell’abbondanza, è un’alleata degli agricoltori locali e della sostenibilità, combatte la lotta agli sprechi e porta le piante in tavola.

“Oggi siamo obesi malnutriti – spiega la chef Santoro – oggi il cibo ci fa ingrassare e ci avvelena.

Questa considerazione ha fatto scattare in me la voglia del sano nutrimento che anche nel digiuno vede una forma di nutrimento inteso come soluzione valida a scacciare le tossine cattive dal nostro corpo, diete capaci di restituire al corpo il suo benessere”.

Partendo da questo problema globale, Maria Antonietta ha rispolverato gli antichi rimedi naturali (usati dagli avi) rivisitandoli in chiave moderna ed abbinandoli non solo ai piatti del benessere ma anche a rimedi per piccoli malanni.

“Oggi anche per un semplice mal di testa – continua Maria Antonietta – non ci si interroga sull’origine del malessere ma si apre il cassetto delle medicine e si risolve ingerendo un analgesico.

I nostri avi invece trovavano i rimedi in natura.

Per queste ragioni ho pensato al “Giardino dei Semplici” che nasce già con Carlo Magno: in ogni casa ci deve essere un piccolo giardino con le erbe selvatiche”.

Dunque nella natura si trova il rimedio: il decotto, il vino cotto, il latte di fico e tante altre erbe che si trovano in Basilicata possono essere adoperate per curare vari malanni di stagione.

Nel 2002 alcune Università europee hanno concentrato la loro attenzione proprio sulle erbe officinali delle Dolomiti Lucane e uno dei responsabili del progetto, Andrea Pieroni, si è avvalso della collaborazione di Maria Antonietta Santoro.

Fondamentale è stato l’incontro della chef con la sibilla delle erbe Maria Sonia Baldoni.

La Baldoni è di Jesi, esperta degli usi tradizionali e attuali delle Erbe gira l’Italia e tramanda questo insegnamento. Ha approfondito lo studio della cultura dei Sanniti del Molise, delle tradizioni celtiche e degli indiani d’America dal punto di vista sciamanico e delle piante sacre a queste tradizioni.

La sibilla delle erbe ha fatto connettere la Santoro con gruppi di persone che celebrano la natura in tutte le sue sfaccettature.

Da qui l’idea di iniziare un grande percorso di studio che arriva a toccare l’anima delle piante.

“Nella natura si trova il rimedio – continua la chef di Castelmezzano – io dal 2002 mi sono connessa a questo mondo: mio nonno mi ha insegnato ad individuare le piante e mi ha dato le ricette per adoperarle sia come alimentazione sia come cura”.

Uno degli aspetti più curiosi della cucina di Maria Antonietta è dato dai piatti della memoria da lei realizzati per celebrare le persone che non ci sono più.

Uno di questi è “Fave e Cicorie”, una pietanza antica che risale ai tempi di Aristotele e che alla chef è stata tramandata dalla madre.

“Ogni volta che preparo questo piatto – racconta commossa Maria Antonietta – ricordo mia madre mentre lo preparava.

Ovviamente io l’ho riproposto in chiave moderna arricchendolo con erbe di campo, finocchietto e borraggine (quest’ultima consigliata per le donne che allattano).

Noi siamo una generazione cerniera, dobbiamo tramandare le antiche tradizioni gastronomiche”.

Nel variegato menu di Maria Antonietta prendono forma piatti che celebrano stagioni ed eventi particolari dal forte significato che la stessa gli ha attribuito dopo anni di ricerche.

C’è il piatto che celebra i defunti (2 novembre), il piatto che spiega il significato del consumo delle lenticchie a Capodanno (racconto leggendario legato alle lenticchie di Esau) e così via.

Un altro piatto molto suggestivo si chiama “L’albero della vita” e viene servito in una ceramica che rappresenta un tronco (atto a simboleggiare un forte attaccamento alle radici) il cui contenuto è dato da una serie di verdurine di stagione cucinate in svariate maniere.

Il senso di questo piatto lo spiega l’autrice:

“se noi mangiamo di tutto un po’ ci preserviamo.  Aveva ragione il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach che diceva: siamo ciò che mangiamo”.

Il messaggio che la chef lucana vuole lanciare è il seguente:

“Noi dobbiamo essere portatori di messaggi di luce e sfruttare il potenziale benefico delle piante.

Facendo una passeggiata nel bosco possiamo fare la spesa gratis, possiamo raccogliere le erbe che ci possono essere utili sia per la cura sia per il nutrimento. Le piante sono lì a portata di mano, dobbiamo solo raccoglierle.

Non abbiamo usato l’acqua per innaffiarle e quindi niente sprechi; abbiamo respirato aria salubre; abbiamo fatto palestra a costo zero e tutto per il bene del corpo e della mente.

L’uso quotidiano dei tesori che la terra ci offre ci aiuta a mantenere alta l’energia vitale che è dentro di noi”.

Maria Antonietta Santoro è una chef per la quale il sapere, prima ancora del sapore, rappresenta una delle armi più importanti del suo lavoro ed è per questo che non smette mai di studiare.

Dalla sua cucina nel cuore delle Dolomiti Lucane, la chef, continua a ideare piatti succulenti che profumano di storia, piatti capaci di parlare perchè hanno un’anima.

Un’anima pronta a liberarsi non solo dinnanzi ai palati più sopraffini ma anche dinnanzi alle menti che per saziarsi necessitano di una buona dose di cultura.

Enza Martoccia

In copertina la foto della chef  Maria Antonietta Santoro scattata da Silvana Laviola.

Di seguito la foto dei piatti: “Fave e cicoria” e “L’albero della vita”.